Casale: proverbi e modi di dire

Raccolti e commentati da Nicola Napolitano

 

PREMESSA

di Giuseppe Napolitano

 

Cuntatinu, scarpe grosse e cereviegliu finu .

"Scarpe grosse, cervello fino ", si diceva, infatti, alludendo (anche se la rima era sottintesa) alla genuina intelligenza delle popolazioni rurali, alla saggezza popolare di chi, pur non avendo avuto la ‘fortuna' di studiare, aveva a disposizione un 'libro' universale: il mondo di tutti i giorni, la vita di tutti i giorni. A Casale di Carinola, in provincia di Caserta, paese da sempre ad economia prettamente agricola, i contadini erano -e sono (quelli rimasti) -la maggioranza e possedevano una vastissima e pressoché infallibile cultura spicciola, a prova di letteratura e filosofia.

 

Ri pruerbi antichi nun falliscunu ("I detti popolari non ingannano').

Ora che a Casale è sempre meno viva la cultura autoctona, poiché anche il piccolo paese è preda delle commistioni linguistiche tipiche della nostra era, questa raccolta di "proverbi e modi di dire", cucita brano a brano dall'autore ( che alla terra è tornato dopo una vita dedicata alla cultura, privata ed ufficiale), amorosamente -ma non senza amarezza -e con il conforto di numerosi testimoni 'auricolari', è il tentativo di far vivere oltre il tempo un patrimonio inestimabile di sapienza e di affetti, di tutta quell'umanità che è stata lievito e lezione imperitura per la nostra stessa umanità, anche se spesso qualcuno di noi, schizzinoso, storce il muso non volendo riconoscersi figlio dei padri.

Eppure,.. "Oce te populu, oce te Diu ": nella voce del popolo di una volta era veramente la voce di Dio, come un altro proverbio recitava.

 

I temi ricorrenti, fra questi 836 "proverbi e modi di dire", sono -essi sì - forse - parole d'altri tempi, salvo le eccezioni, pur numerose, che si riferiscono comunque a detti popolari entrati nell'uso dell'italiano corrente e diffusi in tutto il territorio nazionale. Per la maggior parte, i temi di interesse spicciolo e tuttavia di vitale importanza in una civiltà contadina, agricola, rurale che si voglia considerare,possono apparire ormai senza significato ( e viene fatto puntualmente notare in sede di 'commento’); ma ne avevano, e quanto, quando altrimenti si viveva, con altri valori e bisogni, e senza fisime o grilli per la testa: la famiglia e la casa, il lavoro e il dolore erano in bocca a tutti se si doveva riflettere sul fluire degli eventi; come si andava abitualmente col pensiero all'evolversi delle stagioni, al susseguirsi dei mesi, ogni volta che si doveva pensare a come impostare un'attività che già altri aveva svolta e in modo positivo proprio tenendo conto delle leggi di natura (allora –anche questo va detto -ben più ferree e quindi prevedibili anche senza satelliti meteorologici).

 

Numerosissimi sono i riferimenti e le allusioni alla famiglia e al matrimonio, alla donna, alla maternità e ai figli, ai rapporti vecchi-giovani: segno di quanta importanza avessero in una civiltà 'povera' e quanta 'ricchezza' dessero un matrimonio ben riuscito, una moglie accorta, una donna onesta, figli rispettosi e vecchi rispettati e soprattutto un capofamiglia che fosse degno di questo nome (anche se gli venivano riconosciute a volte 'competenze' che oggi ci fanno rabbia, se non riusciamo a sorriderne, data l'evoluzione dei tempi).

 

La religione appare stranamente un po' in disparte, forse proprio perché tanta religiosità popolare traspare dall'interiorità di un popolo che si sentiva in totale sintonia con la natura e sentiva la natura come Creato. Ogni festa, ogni mese, ogni stagione aveva i suoi proverbi, nei quali si esprimeva la fiducia e la certezza che il mondo era quello conosciuto e non poteva tradirti se 10 trattavi con rispetto: se in un certo mese si erano sempre potute svolgere determinate attività nei campi, se in occasione di una data festa si manifestavano certi fenomeni atmosferici, si poteva star tranquilli che sarebbe sempre stato cosi! Piogge acide e buchi d'ozono ancora non avevano stravolto il tempo.

 

C'è molta tenerezza in queste pagine, c'è il gusto di riassaporare un bene mai perduto, anche se a lungo custodito in un recondito cantuccio dell'animo, che frattanto si era spinto "ad altri lidi", ad inseguire il sogno della 'penna' (quella che 'non dà pane’; e c'è pure l'amarezza di trovare tanta bellezza, tanta pulizia, tanta gioia, tanta onestà di un tempo affidate soltanto alle parole, che -se possono fare da testimoni e consentono la memoria -hanno insieme il triste compito di curare l'esecuzione testamentaria di un patrimonio collettivo: Casale -il paese della memoria -non c 'è più; ma rimane, rimarrà nelle parole degli avi, quelle che i giovani oggi fingono di ignorare, presi da miti estranei, vinti da sogni ancor più evanescenti del sogno della penna che un giorno prese l'autore di questa raccolta e lo portò a correre le strade del mondo -ma senza perdere nel cuore la lezione del suo mondo, senza rinunciare a credere nella saggezza della sua gente, la sua.

 

 

 

 

1 -Abbi sciorte e menet'a maru, ca l'acqua te caccia fore.

-Abbi fortuna e buttati a mare, perché l'acqua ti caccia fuori.

    Se sei fortunato, non anneghi. Una persona fortunata, pare scontato, se la cava comunque, anche in circostanze difficili.

 

2 -Abbitu nun fa monacu e cìllica nun fa preute .

-L'abito non fa il monaco e la chierica non fa il prete.

    Non è sufficiente cambiare vestito o radersi una chierica per cambiare una persona. Il variegato ed ampio complesso di fattori, che concorrono a formare la personalità di un uomo, rimane quello che è, sia che si indossi un cappotto, sia che si indossi un paio di pantaloncini corti.

 

3 -A cavagliu iastematu ri luce ru pilu.

-A cavallo maledetto luccica il pelo.

    Era un pò come dire che la persona alla quale si mandavano molte maledizioni, e ci si augurava che crepasse da un momento all'altro, godeva invece di ottima salute.

 

4 -Accumpàgnete cu chi è megliu te te e fagli le spese .

-Accompagnati con chi è migliore di te e fagli le spese.

    Un invito a frequentare persone ritenute migliori, anche se ci si deve rimettere. ( vedi i numeri 20, 130)

 

5 -Accussi' va ru munnu, chi nata e chi va a funnu.

-Così va il mondo: chi nuota e chi va a fondo.

    Si dice per consolare chi non riesce a tenersi a galla nelle difficoltà. Una rassegnata constatazione della fatalità che spinge alcuni verso l' alto ed altri verso il basso.

 

6- A ciagne ri muorti, su lacreme perze.

-A piangere i morti, sono lacrime perse.

    Non serve abbattersi e disperarsi sulle disgrazie avvenute e irreversibili. Lo aveva già capito il lirico greco Alceo, venticinque secoli fa, quando scrisse in un suo frammento: "Nulla guadagni a piangere sui mali". (v.176)

 

7 -Acqua e fuocu nun trova luocu

- l’acqua e il fuoco non trovano luogo.

    L'acqua e il fuoco sono imprevedibili e inarrestabili nella loro forza devastatrice.

 

8 -Acqua 'mmocca!

-Acqua in bocca!

    Una raccomandazione a tacere, specie su un segreto.

 

9 -Acqua passata nun macena cciù murinu

-Acqua passata non fa girare più la macina del mulino.

    Si diceva di cose o di fatti o di persone, che avevano avuto importanza in un tempo passato, ma non ne avevano più, non contavano più niente.

 

10 -A cuorpu te mezanotte.

-Nel corpo, nel pieno, di mezzanotte.

    L'espressione indicava l'ora più buia e più raccolta della notte, propizia alle ruberie e alle aggressioni.

 

11 -Adda muri te truonu chi nu ri piace lu buonu

-Deve morire colpito da un tuono colui al quale non piacciono le cose buone.

    Per dire che le cose buone piacciono a tutti. Morale: facciamo il bene e non faremo dispiacere nessuno.

 

12 -Adda passà la nuttata!

-Deve pur passare la nottata!

    Un modo di consolarsi per chi è capitato in una sventura e spera che presto passerà.

 

13 -Addù chi n' tè figli, nun ce ì nì pe dinari ni' pe cunsigli.

-Da chi non ha figli, non andare ne per avere denaro, ne per avere consigli.

    Chi non aveva figli era ritenuto, generalmente, un pò gretto e perciò meno disponibile a dare denaro in prestito o a dare consigli.

 

14- Addu n'ce mitti l'acu, ce mitti la capu.

-Dove non metti l'ago, ci metti la testa.

Quando si trascura di riparare in tempo un piccolo guasto, il guasto piano piano si aggrava e dove occorreva una piccola riparazione con poca spesa, occorrerà un ripristino molto più impegnativo con spese più gravi. L'immagine dell'ago richiama i piccoli rammendi per cui bastava una gugliata.

 

15 -Addù nun viri gli uocci, nun t'aspettà te lacreme.

-Dove non vedi gli occhi, non aspettarti le lacrime.

Non sperare di avere qualcosa dove non esiste una concreta realtà che possa offrirtela.

 

16- Addù sta na mamma cu na figlia,fui nora a cientu miglia.

-Dove c'è una madre con una figlia, fuggi, nuora, a cento miglia.

Drastico consiglio ad una ragazza che accetti di sposare un giovane e di andare a vivere insieme alla

suocera e alla cognata. Queste la considererebbero un'intrusa e le farebbero passare guai.

 

17- Aiùtate ca Diu t'aiuta.

- Aiutati che Dio ti aiuta

Bisogna darsi da fare, per trovare aiuto dal di fuori. Inutile sperare di essere aiutato, standosene in ozio.(v. 288)

 

18 -A lavà la cap'a gli'asinu, ce pierdi l'acqua e lu sapone.

-A lavare la testa all'asino, ci perdi l'acqua e il sapone.

    Non possiamo spremere il miele dalle pietre. È inutile e sciocco accanirci a ricavare qualcosa da chi per sua intrinseca natura non può darcela.

 

19 -Allonga la via e vattenne a la casa tia.

-Allunga la strada e raggiungi la casa tua.

È preferibile allungare la strada e giungere a casa propria, piuttosto che prendere scorciatoie e trovarsi nei pasticci.

 

20- Alluntànate sempe ta la mala cumpagnia.

-Allontanati sempre dalla cattiva compagnia..

     Frequentare cattivi compagni comporta spesso un peggioramento del nostro carattere; meglio starne lontani, se non siamo sicuri delle nostre forze morali. (v. 130)

 

21 -Annetta la paletta ca fai la fussetta.

-Pulisci la pala perché scavi la fossa.

     I due diminutivi 'paletta' e 'fussetta' si usavano solo per assonanza col verbo 'annetta'. Quando le colline di Casale erano quasi tutte coperte di vigneti, nei larghi filari delle viti, i cui tralci venivano disposti a pergola, si usava moltiplicare per propaggine le piante giovani da quelle vecchie. Si scavavano perciò le fosse con pala e piccone e vi si interravano due tralci di una vite del filare originario. All'estremità dei tralci si lasciavano uscire fuori dal terreno due gemme e si avevano così quattro nuovi tralci. Alla potatura, si lasciavano i due migliori,che formavano le due giovani viti del nuovo filare, chiamato "ru quinto", perché il gruppo di viti era posto in mezzo ai quattro gruppi originari, chiamati "ri puosti". Allora pioveva molto: mentre si scavavano le fosse, la terra bagnata e appiccicosa si attaccava alla pala e ostacolava e rallentava il lavoro. Perciò era necessario 'annettarla', pulirla cioè con la 'nettarella', una spatoletta di ferro che lo zappatore portava sempre sul lavoro.

 

22 -A ogni scarrafone piace ru figliu suou. !

-Ad ogni scarafaggio piace il figlio suo.

    Per ogni madre è bello il proprio figlio, comunque sia. L'immagine spinta dello scarafaggio vuole indicare l'infinito amore materno che non ha mai riserve.

 

23 -A parlà cu chi n'te sente, ce pierdi lu pelemone.

-A parlare con chi non ti sente, ci perdi il polmone.

    È inutile insistere a parlare con chi non vuole ascoltare, con chi si rifiuta di ascoltare: ci si stanca soltanto e si rischia, prima di perdere la voce, di rovinare anche il polmone (l'organo corrispondente: è una metonimia).(v.637)

 

24 -A peccerigli nun prumette e a santi nun fa uti.

-Ai bambini non fare promesse e ai santi non fare voti.

    Bisogna essere cauti nel fare promesse, perché se si fanno, ai bambini come ai santi, bisogna mantenerle.

I bambini perdono ogni fiducia in chi promette loro qualcosa per rabbonirli e poi se ne dimentica.

 

25- Appiccette na pippa!

-Accese una pipa!

Si diceva di chi abitualmente avviava un discorso lungo, noioso, opprimente. La pipa si accende in effetti perché duri a lungo.

 

26 -Appila ca esce feccia!

-Tappa (il foro della botte), perché esce feccia!

    Si usava per troncare un discorso che cominciava a infastidire, perché scivolava nelle offese, nelle calunnie, nel turpiloquio.

 

27 -A pilu a pilu se fa ru penniegliu.

-A pelo a pelo si fa il pennello.

Tante piccole cose messe insieme con pazienza formano una cosa completa, più grande, più utile. (v.28, 35)

 

28 -A pret'a preta se facette Roma.

-A pietra a pietra si fece Roma.

Anche una grande città come Roma è stata costruita lentamente, con pazienza, un pezzettino per volta,

con perseveranza. È un consiglio a non desistere da un lavoro, da un'impresa che richieda un impegno lungo

e costante. (v. 27, 35)

 

29 -A primu suonnu.

-A primo sonno.

Col sonno pesante, quello che prende una persona poco dopo che si è addormentata. Allora difficilmente sente i piccoli rumori ed è più facile a qualche ladruncolo rubargli galline o altro.

 

30 -Aria schietta n’ave paura te tronule.

-Aria schietta non ha paura di tuoni.

Chi ha la coscienza pulita, non teme guai o intrighi o accuse (La suggestiva immagine meteorologica era frutto di esperienza popolare).

 

31- A ri peggiu puorci le megliu glianne.

-Ai peggiori porci le migliori ghiande.

Le buone occasioni capitano spesso a chi non le merita. I migliori bocconi si danno spesso a chi non sa gustarli.

 

 32 -Arraccumanna le pecure a lu gliupu.

-Raccomanda le pecore al lupo.

Si diceva di chi affidava un incarico proprio alla persona sbagliata.

 

33 -A ru mercatu, o mierchi o si mercatu.

-Al mercato, o inganni o sei ingannato.

I mercati più vicini a Casale si tenevano a Carinola il venerdì, a Sessa il giovedì, a Teano il sabato. Non

si aveva neppure idea dei prezzi fissi così diffusi oggi. Ogni prodotto veniva contrattato, a lungo, con tortuosi

giri di parole da parte del venditore, che chiedeva 100 e poi scendeva pian piano a 60 o meno, e da parte del

compratore, che offriva 20 per poi salire pian piano a 50 o più. Il venditore cercava di essere astuto e di imbrogliare il compratore senza essere imbrogliato; il compratore faceva la stessa cosa.

 

34 -A ru trottu e a ru caloppu se vere chi è zuoppu.

-AI trotto e al galoppo si vede chi è zoppo.

    Quando camminiamo tranquilli per una strada piana e liscia, siamo tutti bravi. Se invece capita di dover correre per una strada dissestata, si evidenziano le  forze e la capacità di alcuni e le debolezze e le deficienze di altri. (v. 58)

 

35 -A sord'a sordu se fa la lira.

-A soldo a soldo si fa la lira.

Un invito a risparmiare il poco, per raggranellare un gruzzoletto più consistente. Il soldo era la ventesima parte di una lira. Intorno al 1930, un bracciante percepiva cinque lire alla giornata. (v. 27, 28)

 

36 -Aspetta ciucciu miu la paglia nova!

-Aspetta, asino mio, la paglia nuova!

Esprimeva incredulità alla realizzazione di una speranza, attesa troppo a lungo.

 

37 -A tàula e a liettu n'se porta rispettu.

-A tavola e a letto non si porta rispetto.

    A tavola bisogna mangiare e a letto dormire (o non dormire), senza falsi scrupoli: non è mancanza o ignoranza di galateo; piuttosto spontaneità e senso pratico.

 

38- A te figlia lu ricu e tu nora me ntienni.

-A te figlia lo dico e tu nuora mi intendi.

La suocera non vuole dire direttamente alla nuora cose spiacevoli e finge di dirle alla figlia, in modo che

la nuora capisca che il discorso è rivolto a lei.

 

39 -Attacca ru ciucciu addu rice ru patrone.

-Lega l'asino dove dice il padrone.

Per quieto vivere, è consigliabile ubbidire al padrone o ad un superiore, anche se ordina qualcosa che

non approviamo.

 

40 -Attient'a ru fuossu!

-Attento al fosso!

Si raccomanda attenzione a ciò che si sta facendo o si vuol fare, perché ci potrebbe essere un pericolo

nascosto.

 

41 -Barba fatta e cuntentezza 'nsuonnu nun faceru mai rannu.

-Barba fatta e contentezza in un sogno non fecero mai danno.

Vuole esprimere il vantaggio sociale di non apparire trasandati ed anche l'utilità dell'essere contenti, sia pure soltanto nel sogno. (v. 187)

 

42 -Begliu te facci e niru te core.

-Bello di faccia e nero di cuore.

Ci sono persone tanto buone nell'aspetto esteriore, quanto cattive, egoiste e spietate nei sentimenti e

nelle azioni.

 

43 –Biancu e russu vennu ta ru mussu.

-Bianco e rosso provengono dalla bocca.

Un bel colorito del viso, la prestanza fisica di una persona provengono dal tenore di alimentazione della

persona stessa, come il rigoglio di una pianta dipende dalla buona coltivazione e dalla buona concimazione.

 

44 -Bruttu te facci e begliu te core.

-Brutto di faccia e bello di cuore.

Ci sono persone brutte, o almeno poco simpatiche nell'aspetto esteriore, ma buone nei sentimenti e nelle azioni. (v. 42)

 

45 -Buoni e malamente stannu pe tuttu.

-Buoni e cattivi stanno dappertutto.

Non si deve mai affermare che in una categoria di persone, in un paese, in un popolo, sono tutti buoni

o sono tutti cattivi, perché le eccezioni ci sono sempre, in senso positivo e in senso negativo.

 

46 -Càgnunu ri musicanti ma la musica è sempe la stessa.

-Cambiano i musicanti ma la musica è sempre la stessa.

Il pensiero corre alla mutevolezza della vita, dei poteri, delle istituzioni, dei così variegati programmi di rinnovamento, corre alle tante mielate promesse che precedono le elezioni, mentre la sostanza rimane sempre la stessa: il ricco diventa più ricco, il povero rimane povero; il potente diventa più potente, il debole rimane debole. Si avvicendano i capi (i musicanti), ma la realtà (la musica) rimane la stessa: chi paga è sempre 'pantalone’, il popolo che lavora, produce, si illude e si lascia illudere.

 

 47 -Campa e fa campà.

-Vivi e lascia vivere.

Un poi come dire: fatti i fatti tuoi e lascia che gli altri vivano a modo loro.

 

48 -Campana si e sona, sò.

-Campana sei, e suona, suona.

Chi è caparbiamente convinto di una sua opinione, non si lascia convincere diversamente da nessun discorso. (v. 702)

 

49 -Cappa e pane n'te fa mancà mai.

-Mantello e pane non farti mancare mai.

In periodo di ristrettezze economiche, si consigliava di pensare innanzi tutto all'indispensabile: un mantello o qualsiasi panno per coprirsi e il pane per sfamarsi.

 

50 -Carette te curu 'nt'a le pummarole.

-Cadde col sedere nei pomodori.

Si riferiva (esagerando l'effetto dell'imbrattarsi) a chi aveva avuto un dissesto finanziario ed aveva cambiato radicalmente in peggio la sua condizione.

 

51 -Carne crula e pesce cuottu.

-Carne cruda e pesce cotto.

Si consiglia di mangiare la carne non troppo cotta, perché è più nutriente, ma di mangiare il pesce ben

cotto, perché soltanto così è più saporito e più digeribile.

 

52 -Carne e sia curnaccia, core gentile e sia na veccia.

-Carne e sia cornacchia, cuore gentile e sia una vecchia.

Si sposti il succo del proverbio in tempi in cui la carne si mangiava pochissime volte: Pasqua, Natale,San Paolo, Martedi in Albis, l'Assunta e in qualche matrimonio. Parecchi si contentavano della carne di pecora perché costava di meno. Eppure si aveva la delicata sensibilità di apprezzare a tal punto la gentilezza femminile,da trovarla simpatica e consolante anche in una vecchia.

 

53 -Casa quantu capi e terra quantu viri.

-casa (appena sufficiente) per starci dentro e terreno (esteso) fin dove arriva lo sguardo.

Ritorna qui l'immagine di una vita contadina che era ridotta all'osso. Perciò si considerava imprudente affrontare spese per costruirsi una casa spaziosa; ci si doveva preoccupare, invece, di acquistare terra, perché

la terra produceva, la terra dava frutto, la terra dava tranquillità e benessere.

 

54 -Casa senza sole, ce trase ru miericu a tutte l'ore.

-Casa senza sole, vi entra il medico a tutte le ore.

In una casa dove non entra mai il sole, entrerà spesso il medico. Per essere salubre, una casa dev'essere molto soleggiata. Se vi è sempre ombra, diventa fonte di malattie.

 

55 -Catarru, vinu cu ru carru.

- Catarro, vino col carro (in abbondanza).

Quando si aveva il raffreddore, consigliavano di bere molto vino per guarirne più presto. Non c'erano tutti i farmaci e gli antibiotici di oggi. Gli adulti curavano il raffreddore bevendo vino bollito ancora caldo; ai piccoli si preparava il decotto di fichi secchi, prugne secche, mele secche, radici di malva, foglie di lauro.

 

56- Cca c'è notte, ricette ru reviezzu sott'a la raticcia.

-Qua c'è notte, disse il pettirosso sotto la graticcia.

I contadini costruivano in campagna una rudimentale trappola per gli uccelli (la 'raticcia') con un grosso vinco di castagno piegato ad arco e tronchetti di vinchi più sottili disposti all'interno. Il pettirosso andava a beccare il vermetto disposto appositamente sotto la trappola, la faceva scattare e ne rimaneva prigioniero. La frase esprimeva l'amara constatazione di non poter più uscire da una disgrazia caduta improvvisamente addosso, proprio mentre si sperava in qualcosa di buono.

 

57 -Cca nisciunu è fessu!

-Qua nessuno è sciocco!

Esclamazione per dire all'interlocutore o agli interlocutori che non si è disposti a lasciarsi prendere in giro.

 

58 -Cca te vogliu ciucciu, pe sta sauta.

-Qua ti voglio, asino, per questa salita.

Sulla strada buona e piana siamo tutti bravi. È di fronte alle difficoltà che si vede chi è capace e chi è incapace, chi è forte e chi è fiacco. (v.34)

 

59 -Cciù nera te la mezanotte nun pò succere.

-Più nera della mezzanotte non può capitare-

E un modo di consolarsi e di farsi coraggio, nel dover affrontare una situazione scabrosa.

 

60 -Ce facemmu la croce cu la mani smerza.

-Ci facemmo il segno della croce con la mano a rovescio.

Esprimeva sorpresa, meraviglia, incredulità, di fronte a qualcosa al di fuori del normale, spesso di fronte a qualcosa di cui si rimaneva fortemente scandalizzati.

 

61- Ce facemmu nuovi nuovi.

-Ci facemmo nuovi nuovi.

Un'antifrasi ironica per dire l'opposto di quello che si diceva. 'Nuovi nuovi' voleva significare sporcati,

malandati, stracciati, imbrattati.

 

62- Ce facemmu viecci viecci.

-Ci facemmo vecchi vecchi.

Scherzosa e saporosa antifrasi per dire che ci si era divertiti (a lungo) a mangiare e a bere a crepapelle,

specialmente in compagnia di parenti o di amici. La frase si adoperava dopo una festa, dopo un matrimonio,quando in casa si scannava il maiale.

 

63 -Ce sta chi ciagne ca nun tè' pane e chi ciagne ca nun tè'fame.

-C'è chi piange perché non ha pane e chi piange perché non ha fame.

    La vita è fatta così. Ci sono persone le quali hanno una salute di ferro e uno stomaco d'acciaio che macinerebbe pure le pietre, ma neppure quelle possono avere, non hanno cioè neppure un tozzo di pane duro.

Ci sono invece persone facoltose le quali potrebbero disporre di tutti i migliori cibi e dei più squisiti manicaretti,ma non possono mangiare perché ammalate.

 

64 -Ce sta sempe chi fraveca e chi scarrupa.

-Ci sta sempre chi fabbrica e chi demolisce.

Alcuni si affannano a realizzare qualcosa, altri hanno il gusto di impedirglielo. E c'è anche chi studia e lavora con altrettanto accanimento, per distruggere in pochi minuti ciò che altri hanno costruito in molti anni.

Si pensi ad un medico biologo ricercatore e ad un trafficante di droga.

 

65 -Chellu che nu uò pe te, agli ati nun fa.

-Quello che non vuoi per te, agli altri non fare.

Una massima che racchiude tanta saggezza di comportamento nei rapporti sociali. Come vivremmo meglio, se riuscissimo a metterla in pratica! E sono duemila anni che il cristianesimo sta predicando: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso.

 

 

 

 

 

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